Muoversi 1 2021
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L’ANNO DELLA VERITÀ

L’ANNO DELLA VERITÀ

di Claudio Spinaci

Claudio Spinaci

Presidente
Unione Energie per la Mobilità - unem

Il virus ha aggredito una società già stanca. Provata da anni di resistenza alla divaricazione dei redditi e alla decrescita degli investimenti, incerta sulle prospettive future, con un modello di sviluppo troppo fragile: una società indebolita nel suo scheletro complessivo, ma ancora sufficientemente vitale per resistere e combattere a favore della risalita”.

È quanto si legge nelle considerazioni generali che aprono il recente “Rapporto sulla situazione economica del 2020” del Censis che, mai come quest’anno, ci induce ad una seria riflessione sulle debolezze strutturali del nostro Paese, ulteriormente aggravate dagli effetti di una pandemia che ha minato molte delle nostre certezze e reso ancora più incerto il futuro.

In questi lunghi mesi di emergenza abbiamo assistito ad un progressivo ridimensionamento della nostra capacità produttiva, dei consumi, dell’indice di fiducia di imprenditori e famiglie e più in generale a un peggioramento della situazione economica dell’Italia.

Una pandemia che sta producendo cicatrici profonde in tutto il mondo. Secondo il Fondo monetario internazionale (FMI), tra il 2020 e il 2021 l’economia globale perderà 12.500 miliardi di dollari rispetto alle proiezioni fatte lo scorso gennaio, quando per l’anno appena concluso si stimava una crescita del 3,3% che poi si è trasformata in una contrazione del 4,4%.

In questo scenario, solo la Cina, che già da aprile ha cominciato ad allentare le misure di lockdown, potrebbe far registrare un primo segno positivo (+1,9%) che, sempre secondo il FMI, dovrebbe subire una rapida accelerazione nel 2021 (+8%). Diverso il discorso per l’Eurozona, che nel 2020 dovrebbe far segnare un -8,3% per poi rimbalzare al +5,2% nel 2021.

In varie occasioni, pubbliche e private, abbiamo proposto ai referenti istituzionali interventi, anche a costo zero, in grado di dare un minimo di sollievo alla profonda crisi di liquidità con cui si trovano a fare i conti molti operatori, come ad esempio il rinvio di alcune scadenze fiscali, ma le risposte non sono arrivate

Una crisi che, per molti versi, ha aumentato le diseguaglianze e che minaccia di invertire il trend di riduzione della povertà cui abbiamo assistito negli ultimi 15-20 anni considerato che oltre il 90% dei mercati emergenti e delle economie in via di sviluppo nel 2020 registrerà un deciso calo del reddito pro-capite.

Una situazione che tutti i Governi nazionali hanno cercato di fronteggiare ricorrendo ad un aumento della spesa pubblica, con misure di bilancio che in media, nei Paesi del G20, ammontano ormai al 6% del Pil.

Molte delle speranze di ripresa sono oggi riposte nel buon esito della campagna di vaccinazione, appena avviata, che potrebbe rimettere in moto un’economia “sospesa” che sinora ha trovato un sostegno nell’intervento pubblico che, però, non ha riguardato tutti e soprattutto non potrà durare per un tempo indeterminato.

Tornando all’Italia, dall’inizio della pandemia sono stati approvati 11 provvedimenti legislativi volti al sostegno dell’economia per un valore complessivo intorno ai 500 miliardi di euro, in larga parte finanziati in deficit. Nei soli ultimi tre mesi sono stati varati quattro specifici “Decreti Ristori” per fronteggiare le conseguenze di questa seconda ondata della pandemia, per un totale di circa 20 miliardi di euro, dispersi in mille rivoli e sulla cui efficacia si è molto dibattuto sulle pagine dei giornali. E già si parla di un quinto “Decreto Ristori” che, a quanto è dato sapere, dovrebbe essere finanziato con un nuovo ed ulteriore scostamento di bilancio. La “Legge di Bilancio 2021”, appena approvata, stanzia altri 40 miliardi di euro che vanno a finanziare le più disparate misure: esoneri contributivi, sgravi fiscali, proroga della CIG, fondi di garanzia, cashback, bonus e superbonus vari. Tutto ciò, è evidente, porrà un problema di sostenibilità del nostro debito pubblico che quest’anno raggiungerà la cifra record del 150-160% del Pil (rispetto al 135% toccato prima della pandemia).

Ad oggi, nessuno dei provvedimenti di fine anno e per il 2021 hanno previsto alcuna misura di reale sostegno per il nostro settore, definito più volte dal Ministero dello Sviluppo economico essenziale ai fini della sicurezza energetica del Paese, e che pertanto ha continuato a lavorare per garantire gli approvvigionamenti necessari nonostante perdite economiche per diverse centinaia di milioni di euro.

In varie occasioni, pubbliche e private, abbiamo proposto ai referenti istituzionali interventi, anche a costo zero, in grado di dare un minimo di sollievo alla profonda crisi di liquidità con cui si trovano a fare i conti molti operatori, come ad esempio il rinvio di alcune scadenze fiscali, ma le risposte non sono arrivate.

D’altra parte, che la situazione sia grave lo dimostrano i numeri, come emerge dal nostro consueto “Preconsuntivo petrolifero 2020” presentato lo scorso dicembre. La domanda di energia è tornata ai livelli di 30 anni fa e tutte le fonti, tranne il gas e le rinnovabili, hanno fatto registrare cali a due cifre. I consumi petroliferi complessivamente non hanno raggiunto le 50 milioni di tonnellate, cioè oltre 10 milioni in meno rispetto allo scorso anno (-17,4%), di cui oltre la metà concentrati nel trasporto stradale che più di altri ha risentito delle misure di lockdown, soprattutto nella prima parte dell’anno. La sola benzina ha fatto registrare una flessione vicina al 21%, mentre il gasolio motori è sceso di circa il 17% per la parziale tenuta del trasporto merci. Le vendite sulla rete carburanti complessivamente sono diminuite mediamente del 20%, con un meno 34% sulla rete autostradale che negli ultimi 10 anni ha perso il 70% dei volumi. Crollo verticale per il jet fuel che fa registrare un meno 66%, con punte del 90% nei primi mesi dell’emergenza sanitaria. Le lavorazioni delle raffinerie sono diminuite di oltre il 15% e il tasso di utilizzo degli impianti è sceso al 68%, un valore molto vicino al cosiddetto minimo tecnico sostenibile, con margini risultati negativi per tre trimestri consecutivi. Anche i canali import-export si sono ridotti con una perdita secca di oltre 5 miliardi di euro in termini di bilancia commerciale.

E per il 2021 cosa dobbiamo aspettarci? È evidente che qualsiasi previsione sconta un alto grado di incertezza. Volendo essere ottimisti, si può ipotizzare una leggera ripresa a partire dal secondo trimestre del 2021 che si dovrebbe consolidare nel terzo, permettendo così di recuperare a fine anno circa la metà dei volumi persi nel 2020. Dunque, un recupero lento e graduale strettamente legato al miglioramento del contesto economico nazionale ed internazionale, alla ripresa delle attività commerciali più penalizzate dalla pandemia, nonché a un maggiore stimolo agli investimenti e quindi ai consumi delle famiglie derivanti anche da una ripresa di fiducia.

Ma il 2021 dovrà essere soprattutto l’anno in cui andranno affrontati i molti nodi strategici che impediscono al nostro settore di affrontare la transizione energetica alla pari con gli altri settori industriali. Uno degli strumenti più importanti per innescare questa ripresa è rappresentato dal “Piano nazionale di ripresa e resilienza”, il programma di investimenti che l’Italia deve presentare nell’ambito del “Next Generation EU”, al centro di un acceso dibattito tra le forze di maggioranza.

Un Piano da cui il nostro settore non può essere escluso, non solo per gli investimenti che sarebbe in grado di stimolare, stimati in diversi miliardi di euro, ma anche per il contributo che saremmo in grado di dare al processo di decarbonizzazione, come possiamo capire scorrendo questo numero.

Ma il 2021 dovrà essere soprattutto l’anno in cui andranno affrontati i molti nodi strategici che impediscono al nostro settore di affrontare la transizione energetica alla pari con gli altri settori industriali. Uno degli strumenti più importanti per innescare questa ripresa è rappresentato dal “Piano nazionale di ripresa e resilienza”

Molti i possibili ambiti di intervento che abbiamo proposto, tutti funzionali a realizzare gli obiettivi di digitalizzazione, innovazione e rivoluzione tecnologica richiesti dalle linee guida proposte dal Governo. Si va da progetti volti a rendere sempre più efficienti e sicuri, i processi industriali, della logistica e della distribuzione dei prodotti; allo sviluppo dei low carbon fuels e dell’idrogeno prima “blu” e poi “verde”, anche attraverso l’installazione di sistemi di cattura e riutilizzo della CO2 ai fini della produzione di e-fuel, fino alla lavorazione di nuove materie prime derivanti dall’economia circolare; allo sviluppo e rafforzamento delle infrastrutture per la distribuzione dei carburanti alternativi e alla modernizzazione della rete dei Punti Vendita abbondantemente ridondante ed obsoleta.

Il 2021 sarà perciò l’anno della verità: o si avvieranno una serie di interventi strutturali capaci di affrontare le sfide dei prossimi decenni oppure saremo destinati ad un lento e inevitabile declino, con danni notevoli alla tenuta competitiva del Paese. Abbiamo le attrezzature e le competenze industriali per superare questa congiuntura profondamente avversa, ma le Istituzioni devono darci le risposte concrete che un settore strategico, come quello del downstream petrolifero, merita, superando i consueti pregiudizi ideologici. Questa volta nessuno può permettersi di sbagliare, tanto meno chi ha nelle proprie mani il futuro del Paese.

Ecco l’Italia nell’anno della paura nera

L’ultimo “Rapporto sulla situazione economica del Paese 2020” del Censis disegna un’Italia molto cambiata dal Covid-19. Un Paese smarrito che sembra aver perso la fiducia, ma comunque pronto a ripartire. Proponiamo uno stralcio del capitolo “Il sistema-Italia? Una ruota quadrata che non gira” che ci fa capire perché non sarà facile rimettere in cammino l’economia e superare le divisioni sociali.

Il sistema-Italia è una ruota quadrata che non gira: avanza a fatica, suddividendo ogni rotazione in quattro unità, con un disumano sforzo per ogni quarto di giro compiuto, tra pesanti tonfi e tentennamenti. Mai lo si era visto così bene come durante quest’anno eccezionale, sotto i colpi dell’epidemia. Privi di un Churchill a fare da guida nell’ora più buia, capace di essere il collante delle comunità, il nostro modello individualista è stato il migliore alleato del virus, unitamente ai problemi sociali di antica data, alla rissosità della politica e ai conflitti inter-istituzionali. Uno degli effetti provocati dall’epidemia è di aver coperto sotto la coltre della paura e dietro le reazioni suscitate dallo stato d’allarme le nostre annose vulnerabilità e i nostri difetti strutturali, del tutto evidenti oggi nelle debolezze del sistema – l’epidemia ha squarciato il velo: il re è nudo! – e pronti a ripresentarsi il giorno dopo la fine dell’emergenza più gravi di prima.

Spaventata, dolente, indecisa tra risentimento e speranza: ecco l’Italia nell’anno della paura nera. Il 73,4% degli italiani indica nella paura dell’ignoto e nell’ansia conseguente il sentimento prevalente. Che porta alla dicotomia ultimativa: «meglio sudditi che morti». La tensione securizzatrice ha prodotto una relazionalità amputata e un crollo verticale del «Pil della socialità». Lo Stato è il salvagente a cui aggrapparsi nel massimo pericolo. Il 57,8% degli italiani è disposto a rinunciare alle libertà personali in nome della tutela della salute collettiva, lasciando al Governo le decisioni sulle limitazioni alla mobilità personale. Il 38,5% è pronto a rinunciare ai propri diritti civili per un maggiore benessere economico, accettando limiti al diritto di sciopero, alla libertà di opinione e di iscriversi a sindacati e associazioni. Il 77,1% chiede pene severe per chi non indossa le mascherine o i divieti di assembramento. Il 76,9% è convinto che chi ha sbagliato nell’emergenza, che siano politici, dirigenti della sanità o altri, deve pagare per gli errori commessi. Il 56,6% chiede addirittura il carcere per i contagiati che non rispettano rigorosamente le regole della quarantena. Il 31,2% non vuole che vengano curati (o vuole che vengano curati solo dopo, in coda agli altri) coloro che, a causa dei loro comportamenti irresponsabili, si sono ammalati. E per il 49,3% dei giovani è giusto che gli anziani vengano assistiti solo dopo di loro.

Per l’85,8% degli italiani la crisi sanitaria ha confermato che la vera divisione sociale è tra chi ha la sicurezza del posto di lavoro e del reddito e chi no. Su tutti, i garantiti assoluti, i 3,2 milioni di dipendenti pubblici. A cui si aggiungono i 16 milioni di percettori di una pensione – una larga parte dei quali ha fornito un aiuto economico a figli e nipoti in difficoltà: un «silver welfare» informale. Poi si entra nelle sabbie mobili: il settore privato senza casematte protettive. Vive con insicurezza il proprio posto di lavoro il 53,7% degli occupati nelle piccole imprese, per i quali la discesa agli inferi della disoccupazione non è un evento remoto, contro un più contenuto 28,6% degli addetti delle grandi aziende. C’è quindi la falange dei più vulnerabili: i dipendenti del settore privato a tempo determinato e le partite Iva. C’è poi l’universo degli scomparsi, quello dei lavoretti nei servizi e del lavoro nero, stimabile in circa 5 milioni di persone che hanno finito per inabissarsi senza fare rumore. Infine, i vulnerati inattesi: gli imprenditori dei settori schiantati, i commercianti, gli artigiani, i professionisti rimasti senza incassi e fatturati. Nel magmatico mondo del lavoro autonomo, solo il 23% ha continuato a percepire gli stessi redditi familiari di prima del Covid-19 e quasi il 40% degli italiani oggi afferma che, dopo l’epidemia, avviare un’impresa, aprire un negozio o uno studio professionale è un azzardo. Intanto a ottobre i sussidi erogati dall’Inps coinvolgevano una platea di oltre 14 milioni di beneficiari, con una spesa superiore a 26 miliardi di euro. È come se a un quarto della popolazione italiana fossero stati trasferiti in media quasi 2.000 euro a testa.

Nel secondo trimestre il Pil è franato del 18% in termini reali rispetto all’anno scorso, i consumi delle famiglie del 19,2%, gli investimenti del 22,9%, l’export del 31,5%. Poi il rimbalzo congiunturale nel terzo trimestre ha attutito il colpo. Ma rispetto al dicembre 2019, nel giugno 2020 la liquidità delle famiglie (contante e depositi a vista) ha registrato un incremento di 41,6 miliardi di euro (+3,9% in sei mesi) e ora supera i 1.000 miliardi. La corsa alla liquidità è evidente nel parallelo crollo delle risorse riversate in azioni (-63,1 miliardi nello stesso periodo, -6,8%), obbligazioni (-11,2 miliardi, -4,6%), fondi comuni (-23,1 miliardi, -5%). Il 66% degli italiani si tiene pronto a nuove emergenze adottando comportamenti cautelativi: mettere i soldi da parte ed evitare di contrarre debiti. Anche perché il 75,4% giudica insufficienti o tardivi gli aiuti dello Stato.

Rispetto all’anno scorso, nel terzo trimestre sono già 457.000 i posti di lavoro persi da giovani e donne, il 76% del totale dell’occupazione andata in fumo (605.000 posti di lavoro). E sono 654.000 i lavoratori indipendenti o con contratto a tempo determinato senza più un impiego. Nel secondo trimestre dell’anno i giovani di 15-34 anni risultavano particolarmente colpiti in alcuni settori: alberghi e ristorazione, industria in senso stretto, attività immobiliari, professionali e servizi alle imprese, commercio. Al secondo trimestre il tasso di occupazione, che per gli uomini raggiungeva il 66,6%, presentava un divario di oltre 18 punti a sfavore delle donne.

La rete che più di tutte ha conosciuto una rivoluzione dei comportamenti individuali è stata internet. Secondo una indagine del Censis, l’87% dei cittadini ha dichiarato di avere utilizzato nell’emergenza la connessione internet fissa a casa e che è stata sufficiente. In oltre la metà dei casi è stata utilizzata anche la connessione dati del telefono cellulare. Più del 70% dei cittadini ha dichiarato di possedere le competenze di base necessarie per svolgere tutte le attività online. Però appare chiara una criticità: la generazione più anziana è quella che per un terzo (il 32,6%) si autoesclude completamente dal mondo digitale. Ma anche un terzo dei più giovani, dopo un iniziale entusiasmo nell’uso dei sistemi di comunicazione digitale, si è stancato di fare e ricevere videochiamate.

Nei mesi di luglio e agosto il volume complessivo del traffico passeggeri dei primi 20 scali aeroportuali del Paese ha registrato una diminuzione pari a circa il 69% rispetto allo stesso periodo del 2019. Il calo è stato del 44,4% per i voli nazionali e del 79,7% per i voli internazionali.

Solo il 28% degli italiani nutre fiducia nelle istituzioni comunitarie, a fronte di una media Ue del 43%: siamo ultimi nella graduatoria europea. Tuttavia, il 58% degli italiani si dice insoddisfatto delle misure adottate a livello comunitario per contrastare la crisi del Covid-19 (una percentuale superiore alla media Ue: 44%).

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